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Esegesi rubricale (n. 1)

La Preghiera eucaristica e l’ars celebrandi

Suggerimenti liturgico-pastorali per sacerdoti e fedeli tratti da In unum corpus (2007), pp. 578-582


1. I fedeli – soprattutto i sacerdoti – devono abituarsi a considerare la preghiera eucaristica, non come un campo di ossa aride (cf Ez 37), ma come un’unità letteraria densa di tensione teologica, che si svolge tra il dialogo invitatoriale e l’«Amen» finale.

2. Tutti, sacerdoti e fedeli, devono abituarsi a cogliere la divisione bipartita della preghiera eucaristica, che si struttura fondamentalmente in un discorso all’indicativo (= sezione dell’azione di grazie o sezione anamnetico-celebrativa) e un discorso all’imperativo (= sezione della supplica o sezione epicletica). Inoltre devono abituarsi ad avvertire l’articolazione interna delle due sezioni, così da individuare facilmente i relativi elementi strutturali.

3. Il celebrante principale deve scegliere la preghiera eucaristica e avvisarne i concelebranti almeno prima di iniziare il dialogo invitatoriale. I concelebranti non devono aver paura di utilizzare gli appositi libretti, allo scopo di assicurare una proclamazione adeguata. Nella scelta della preghiera eucaristica non bisogna lasciarsi guidare dal solito criterio della fretta e della pigrizia liturgica. Si deve dichiarare guerra alla corsa sistematica alla II preghiera eucaristica, generalmente scelta, non perché sia la più bella, ma perché è la più breve.

4. Qualora si utilizzi una preghiera eucaristica a prefazio mobile, il celebrante principale deve scegliere accuratamente il prefazio, privilegiando i criteri cristologici. Tutti devono imparare ad aver nostalgia della densità cristologico-trinitaria dei prefazi orientali, ricchi quanto a contenuto e ricchi pure in rapporto alla dinamica teologica del «Sanctus». Raffrontati con i prefazi orientali, i prefazi mobili della tradizione romana, soprattutto recente, rivelano spesso una notevole povertà cristologica. Particolarmente poveri sono quelli che convogliano tutta l’attenzione sulla commemorazione di un Santo. Conviene ricordare che, quando si sceglie la II o la IV preghiera eucaristica, il prefazio proprio è parte integrante del rispettivo formulario anaforico e non va mai sostituito. In tal senso sarebbe bene non avvalersi della deroga con cui le attuali rubriche consentono di usare per la II preghiera eucaristica un altro prefazio.

5. Un breve spazio di silenzio dopo l’orazione sulle oblate aiuta i fedeli a percepire in concreto la corposità letteraria della preghiera eucaristica. Si può fare a questo punto un’eventuale sobria monizione, volta a richiamare l’atten­zione di tutti sull’importanza della grande preghiera che sta per cominciare.

6. Il celebrante deve iniziare solennemente il dialogo invitatoriale, la cui funzione è di stabilire la relazione cultuale tra la Chiesa radunata e Dio Padre. Tutto il discorso orazionale della preghiera eucaristica è rivolto agli orecchi di Dio che ascolta. Il celebrante, «lingua comune della Chiesa», non lo potrà interrompere per parlare ad altri. Neppure gli sarà permesso di spazientirsi con i chierichetti.

7. Nel corso del prefazio, il celebrante farà attenzione all’eventuale «per Cristo nostro Signore», che rischia di attrarre indebitamente un «Amen» da parte dei distratti. Lo potrà sostituire opportunamente, ad esempio, con «per Gesù Cristo, tuo dilettissimo Figlio».

8. Non conviene che il celebrante canti il prefazio, per non privilegiare il prefazio rispetto al resto della preghiera eucaristica, e per non assecondare la convinzione errata che esso non ne farebbe parte.

9. Tutti devono abituarsi a ravvisare nel Sanctus l’inno teologico che stabilisce l’unione delle due assemblee, ossia dell’assemblea celeste (= creature angeliche + Santi/Defunti) e della «Ecclesia hic et nunc orans». Si tratta dell’inno più importante di tutta la messa, e quindi andrebbe possibilmente cantato sempre.

10. Dopo il Sanctus, il celebrante principale deve riprendere subito il discorso orazionale senza interruzioni di devozione. Il post-Sanctus della IV preghiera eucaristica non va diviso tra i concelebranti, ma spetta interamente al celebrante principale.

11. Il celebrante deve proclamare con pacata solennità l’epiclesi per la trasformazione delle oblate. Non si deve aver timore di compiere su di esse un’imposizione prolungata delle mani, in particolare da parte dei concelebranti che non hanno bisogno di ritrarle per fare il segno di croce.

12. Il celebrante farà bene a pronunciare il racconto istituzionale con il medesimo tono di voce col quale ha pronunciato l’epiclesi, sobrio e solenne, non frammentato. Chi vorrà mantenersi nella prospettiva della dinamica teologica dell’embolismo, si preoccuperà di assicurare alla proclamazione del racconto istituzionale – nella misura del possibile e nel pieno rispetto delle rubriche, che tuttavia non vanno maggiorate – unità, compattezza, uniformità nel tono di voce, sobrietà nei gesti. In caso contrario si continuerà a rimanere nella prospettiva della «actio sacra» accuratamente staccata dal movimento letterario-teologico della preghiera eucaristica, con la quale il celebrante imita – quasi mimando – quanto avvenne nel cenacolo. Dobbiamo qui ricordare che la messa non è fisicamente né il cenacolo né il Calvario, ma è il momento rituale che, attraverso la ripresa e l’iterazione del segno profetico dato «pridie quam pateretur», ci rende sacramentalmente presenti al sacrificio unico. Conviene evitare elevazioni troppo prolungate. Soprattutto è bene rinunciare, nella misura del possibile, a quel complesso di segni e di gesti (ad esempio: campanelli, ceri speciali, incenso, suono dell’organo, ecc.) che richiamano la Benedizione del SS.mo Sacramento. Si dovrà impedire drasticamente che si facciano fotografie e riprese televisive durante la consacrazione, poiché qui soprattutto la disciplina dell’arcano deve essere di casa.

13. Per quanto riguarda il ministro cui compete la monizione «Mistero della fede» – nel pieno rispetto della normativa rubricale che lo riserva attualmente al celebrante – ci auguriamo che un’eventuale revisione delle rubriche tenga presente che si tratta di una monizione al popolo, di natura sua certamente non-presidenziale. Il presidente infatti è impegnato nel suo discorso orazionale a Dio. Tale monizione tipicamente diaconale andrebbe quindi affidata al diacono e, in sua assenza, all’accolito adulto.

14. L’acclamazione anamnetica è un avvio dell’anamnesi sulle labbra del popolo. Buone sono la 1a e la 2a formula; alquanto anomala è invece la 3a. Essendovi difficoltà concrete per far dire la 2a formula del messale romano, conviene accordarsi prima. In ogni caso, dev’essere qui evitato un intervento del tipo: «Prenderemo ora la 2a formula!». È auspicabile che ad ogni formula corrisponda una monizione propria, atta a suscitarla.

15. Il celebrante deve proclamare solennemente l’epiclesi per la nostra trasformazione escatologica, che ci rivela il «Sitz im Leben» [situazione vitale] della celebrazione eucaristica.

16. Dobbiamo abituarci a considerare le intercessioni come un tutt’uno con l’epiclesi per la nostra trasformazione «in un solo corpo», di cui costituiscono un ulteriore dettaglio e allargamento. Si faccia in modo che la loro distribuzione tra i concelebranti non crei frattura nel discorso orazionale. Essi infatti devono accordarsi prima, in modo da intervenire con ordine.

17. Il celebrante deve inserire i nomi dei Defunti in modo tale da non spezzare il discorso orazionale, né creare silenzi di devozione. Ricordiamo che la consuetudine di pronunciare i nomi dei Defunti nella preghiera eucaristica è antica e ricca di significato teologico. Alcuni pastori temono che dire i nomi dei Defunti di domenica riduca in qualche modo l’ampiezza della messa, che quel giorno è per tutti, oppure che mortifichi la naturale configurazione di giorno memoriale della risurrezione. Si tratta di timori infondati, poiché dire a Dio i nomi dei Defunti significa esattamente domandare per essi la risurrezione escatologica. Né d’altronde la messa è un qualcosa che si divide come una torta – sit venia verbis! –, cosicché ciò che si prende per uno verrebbe a mancare agli altri. Mentre i pastori devono porre ogni diligenza per pronunziare sempre i nomi, conviene in pari tempo educare i fedeli a non assolutizzarne la proclamazione e a comprendere che, se anche per ragioni contingenti i nomi sono stati omessi, oppure anche se si è prodotto accidentalmente un errore nella proclamazione, ciò non riduce minimamente l’entità del raduno escatologico che è stato chiesto per i loro Defunti.

18. Forse si potrebbe riservare l’ultima intercessione al celebrante principale, per dargli modo di riprendere il discorso orazionale nel momento del massimo crescendo escatologico e per collegarlo meglio alla dossologia finale.

19. Prima della dossologia i concelebranti non devono mostrare all’assemblea quasi una smania di finire, chiudendo i libretti e sbarazzandosene frettolosamente. Faranno bene a tenerli in mano fino alla conclusione della preghiera eucaristica.

20. Poiché la preghiera liturgica è una preghiera presidenziale, tutta la dossologia compete esclusivamente al celebrante (o tutt’al più ai concelebranti). L’eventuale canto della dossologia è da sconsigliare per le stesse ragioni addotte contro un eventuale canto del prefazio (cf n. 8).

21. Nell’elevazione sobria di calice e patena, non ci si deve preoccupare della simmetria: una patena e due calici, oppure due patene e un calice.

22. Sul finire della dossologia occorre che il celebrante, adeguando il tono della voce e il ritmo delle parole, susciti l’«Amen» dei fedeli, perché possa tornare a risuonare nelle nostre chiese come ai tempi di Gerolamo nelle chiese di Roma.

23. Conclusa la preghiera eucaristica, il celebrante non abbia fretta di iniziare il «Padre nostro». Egli farà bene a stabilire un breve spazio di silenzio (parallelo a quello di cui al n. 5), per aiutare i fedeli a percepire sensibilmente l’estensione della preghiera eucaristica.

24. Dopo la conveniente pausa di silenzio, è bene che il celebrante inizi la monizione del «Padre nostro» in tono diverso, più pacato e familiare. Eventualmente potrebbe fare una monizione parallela a quella che ha preceduto l’inizio della preghiera eucaristica (cf n. 5), per aiutare l’assemblea a comprendere che la grande tensione relazionale a Dio Padre può ora in qualche misura allentarsi, così da essere rivolta più direttamente alla presenza reale. Egli potrebbe dire ad esempio: «È terminata la grande preghiera eucaristica. Noi crediamo con tutta la nostra fede che il Signore Gesù è davvero presente sul nostro altare, sotto le apparenze del pane e del vino. Ci prepariamo a riceverlo nella santa comunione, dicendo insieme la preghiera che egli stesso ci ha insegnato...».