Nella Volgata il termine latino «salutare» è spesso un aggettivo neutro sostantivato che equivale in concreto a «salvezza»: eg. «Salutare tuum expectabo, D.ne» (Gn 49,18); «Misericordiam tuam et salutare tuum da nobis» (Sal 84,8); «Notum fecit D.nus salutare suum» (Sal 97,2); «Viderunt oculi mei salutare tuum» (Lc 2,30).
Tuttavia, contrariamente all’opinione di B. Botte che traduce il «salutare» dell’incipit prefaziale con «salvezza» («c’est notre devoir et c’est notre salut»: cf L’ordinaire de la Messe, 74-75), bisogna dire che «salutare», più che «salvezza» in concreto, connota qui un’azione destinata a produrre salvezza. Lo sapeva già Floro di Lione: «Salutare autem dicitur, quod est salubre eo quod salutem conferat» (Expositio Missæ, PL 119, 31). Ne danno atto anche i dizionari: «Salutaris est salutem, vitam, sanitatem afferens. [Dicitur] generatim de iis, sive personis, sive rebus, quae incolumitatem, salutem, utilitatem afferunt» (Lexicon totius Latinitatis). Che si tratti di un aggettivo a tutti gli effetti, lo confermano – oltre alle coppie sinonimiche dignum-iustum, dignum-honorificum, æquum-salutare, sanctum-salutare, sanctum-pulchrum, etc. (cf Cagin, Te Deum, 284-286) – taluni incipit prefaziali quali «vere salutare nobis est atque conveniens...» (PL 85, 507).
Non direi neppure, come sostiene Botte, che «Salutare est propre à la liturgie romaine et n’a de correspondant dans aucune liturgie orientale» (cf L’ordinaire de la Messe, 74). Nelle anafore orientali si trovano talvolta formule sinonimiche, per non dire identiche: eg. «sanctumque et decorum, atque nostris animabus utile(epôphelés)» (anaf. greca di S. Marco); «salvificans (prq) animas nostras» (anaf. siriaca di Timoteo Alessandrino, in AS I, 12-13).
L’aggettivo «salutare» va dunque letto in parallelo con «æquum». Se «æquum» esprime il sentimento del dovere, «salutare» dice il vantaggio che ne deriva, nel senso cioè di «giovevole a noi». Se poi ragioni pratiche consigliano di rendere æquum [equo, doveroso] con «nostro dovere», non è però possibile tradurre salutare con «nostra salvezza». Qui si deve ricorrere a una perifrasi che rispetti la valenza dell’aggettivo, ie. la sua connotazione relativa al fine.
Siccome la salvezza che attendiamo è conseguente alla lode, converrebbe mantenere la traduzione «nostro dovere e fonte di salvezza» del Messale Latino-Italiano del 1965, recepita dalle prime due edizioni tipiche. Tale formula, che non è né inadeguata né tantomeno scorretta, ha il merito di rendere fedelmente l’idea, peraltro sulla base di un ritmo accettabile.