Finché nella Chiesa latina di fatto esisteva solo il canone romano, la questione del rapporto organico tra prefazio e post-Sanctus non si poneva a motivo della misteriosa assenza di quest’ultimo. Ma ora che nelle nuove preghiere eucaristiche romane il post-Sanctus è stato felicemente ripristinato, il rapporto organico va considerato.
Esemplare è la redazione del post-Sanctus nella PE IV, la quale, pur configurandosi secondo la struttura del canone romano, si avvale della tematica di storia salvifica vetero- e neotestamentaria che è classica delle anafore siro-occidentali. La PE IV è un ottimo esempio di interazione e arricchimento tematico tra anafore aventi struttura diversa, quali sono appunto il canone romano e le anafore siro-occidentali.
Il redattore del post-Sanctus della PE III, a prefazio mobile, ha confezionato un post-Sanctus generico, che si adatta più o meno a qualsiasi prefazio.
Quanto mai problematico è invece il post-Sanctus della PE II a motivo di un’esiguità che rasenta l’inconsistenza.
Il redattore che si è premurato di aggiungere il Sanctus alla progressione tematica dell’anafora della Tradizione Apostolica, cui si è ispirato, ha però dimenticato che al Sanctus fa sempre seguito un post-Sanctus.
Se nella redazione latina il post-Sanctus è al limite della sufficienza formale («Vere Sanctus es, Domine, fons omnis sanctitatis!»), nella traduzione italiana ufficiale si è letteralmente volatilizzato.
Infatti una mancata attenzione ai criteri di struttura letteraria ha fatto sì che l’originaria proposizione latina dichiarativa si dissolvesse nella traduzione italiana in un vocativo con apposizione, che già fa parte della sezione epicletica («Padre veramente santo, fonte di ogni santità, ...»).
Non sarebbe forse il caso di dare al post-Sanctus della PE II quel minimo di corposità che consenta di riconoscerlo come tale?