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Tradurre bene per tramandare (n. 2)

Le sfide di una "LITURGIA AUTENTICA"


Nel periodo intercorso tra l’annuncio e l’effettiva pubblicazione della 3a edizione tipica del Missale Romanum, la Congregazione per il Culto Divino è intervenuta sull’uso delle lingue popolari nell’edizione dei libri della liturgia romana con la «Quinta istruzione per la retta applicazione della costituzione del Concilio Vaticano II sulla sacra liturgia», che ha per titolo Liturgiam authenticam.

Scorrendo le pagine del documento, il liturgista si compiace dell’attenzione prestata alla «traduzione nelle lingue moderne» (n. 2), perché è importante che Dio Padre e l’assemblea liturgica possano interloquire sulla stessa lunghezza d’onda.

Parimenti si rallegra quando l’istruzione ricorda che «il Concilio ecumenico Vaticano II [...] ha dato grande rilevanza ai riti liturgici [...] delle Chiese particolari, soprattutto orientali, illustri per veneranda antichità e che pertanto manifestano in vari modi la tradizione ricevuta dagli Apostoli attraverso i Padri» (n. 4).

Accingendosi ad esporre «in modo nuovo i princìpi di traduzione, ai quali ci si dovrà attenere, sia nella preparazione integrale delle future traduzioni, sia nella revisione dei testi già in uso», l’istruzione dichiara «necessario che si riconsideri la genuina nozione di traduzione liturgica, di modo che le traduzioni della sacra liturgia nelle lingue vernacole siano con sicurezza la voce autentica della Chiesa di Dio» (n. 7).

Ribadisce poi che «le traduzioni vanno fatte direttamente dai testi originali, cioè dal latino per quanto riguarda i testi liturgici di composizione ecclesiastica, dall’ebraico, aramaico o greco, se è il caso, per quanto concerne i testi delle Sacre Scritture» (n. 24).

Fa inoltre presente la necessità di elaborare, per ogni area linguistica, «uno stile sacrale, che si possa riconoscere come linguaggio propriamente liturgico» (n. 27).

Raccomanda di non appiattire l’espressione liturgica con termini astratti e vaghi, dal momento che «la traduzione letterale di locuzioni che nella lingua popolare suonano inconsuete può di fatto stimolare l’interesse dell’uditore e dare l’occasione di trasmettere una catechesi» (n. 43).

Siccome «i testi liturgici sono per natura destinati ad essere proclamati e ascoltati durante la celebrazione liturgica», l’istruzione sollecita i traduttori a prestare una particolare attenzione alle tecniche di trasmissione orale, quali sono la sintassi e lo stile, il tono solenne, l’allitterazione e l’assonanza, le immagini concrete e vivaci, le ripetizioni, il parallelismo e la contrapposizione, il ritmo (n. 59).

Venendo a parlare delle preghiere eucaristiche, il documento non manca di ricordare che «il culmine dell’intera azione liturgica è la celebrazione della Messa, nella quale a sua volta la preghiera eucaristica o anafora occupa il primo posto. Perciò le traduzioni delle preghiere eucaristiche approvate devono essere preparate con somma cura (summa cum diligentia) soprattutto quanto alle formule sacramentali» (n. 63).